Usare il corpo per cambiare le emozioni

Prova a fare uno sforzo massimale sorridendo. Oppure prova ad avere una faccia arrabbiata e seccata mentre guardi un cucciolo. O ancora sforzati di avere un atteggiamento completamente annoiato quando ti stai divertendo come un pazzo.

È molto difficile, se non impossibile, mostrarsi diversi da come si è in profondità. Per questo motivo i grandi attori non fingono, ma al contrario vivono appieno gli stati emotivi che vogliono trasmettere.


Esiste una stretta relazione tra fisiologia ed emotività
, tra condizioni del nostro corpo e interpretazioni della nostra psiche. Questa interconnessione rispecchia completamente la nostra storia evolutiva che vede una mente sempre più complessa e capace di riflettere su se stessa svilupparsi al di sopra di apparati più semplici ed istintivi. Noi, come ogni animale, siamo programmati per rispondere agli stimoli ambientali in modo integrato, con corpo, mente ed emozioni. Questo canale di comunicazione tra i vari livelli di organizzazione del nostro corpo è incredibilmente efficace se impariamo a capirlo e a gestirlo.

La maggior parte di noi ritiene che sia sempre la mente a comandare, ma non è necessariamente così. Pensiamo che essere giù di umore sia un fatto puramente psicologico e che questo condizioni il funzionamento del corpo imponendoci un certo tipo di postura e di espressione facciale. A volte però questo calo del tono dell’umore può essere causato da una nutrizione errata, da un corpo debole o da una salute precaria. Quello che spesso ci dimentichiamo è che la comunicazione tra corpo e mente è bidirezionale, ossia i diversi stati emotivi influenzano il corpo così come differenti condizioni corporee cambiano lo stato mentale di una persona. Proprio per questo, sempre gli attori, imparano ad usare molto bene il loro corpo per innescare e fare emergere le condizioni emotive che desiderano, perfezionando così l’immedesimazione con il personaggio che devono interpretare.

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La maggior parte di noi subisce questi meccanismi e non li controlla per niente, ma ognuno può imparare a sfruttarli meglio per migliorare l’interazione tra mente e corpo e in particolare per usare il corpo per cambiare lo stato emotivo in cui ci si trova.

Proviamo a fare degli esempi considerando che il corpo non riconosce le sfumature delle diverse condizioni psico emotive.

  1. Stati emotivi di scarso entusiasmo, stanchezza, negatività corrispondono ad una complessiva ipo-attivazione dell’organismo. L’obiettivo è riattivare corpo e mente e questo può essere fatto con esercizi fisici di forza e potenza (balzi, salti, ma anche ballo), tecniche respiratorie specifiche come la respirazione di fuoco del pranayama nello yoga (una respirazione addominale veloce, ritmica e con la stessa tempistica tra inspiro ed espiro) o la respirazione tattica usata dai militari delle forze speciali (stesso tempo di 3-4 secondi per inspirazione, pausa, espirazione, pausa).
  2. Stati emotivi di tensione, paura, rabbia, frustrazione corrispondono ad una  generale iper-attivazione. L’obiettivo in questo caso è di disattivare e funzionano molto bene le tecniche di rilassamento come il training autogeno, la meditazione, la respirazione addominale lenta e profonda, il massaggio.

PER APPROFONDIRE: Come meditare: 5 errori da evitare

Una condizione fondamentale per poter iniziare un lavoro di miglioramento del proprio stato emotivo è quella di essere in grado di percepire lo stato in cui ci si trova. Come per molti altri aspetti del miglioramento personale, è una questione di consapevolezza e abitudine. Si potrebbe iniziare con il chiedersi con una certa regolarità se si è iperattivi o ipoattivi. Questa semplice domanda porta con sé l’immediata conseguenza di orientare i nostri comportamenti verso le vere esigenze del nostro organismo invece che rimanere vittima delle condizioni in cui ci si trova.

Migliorare la propria prestazione è una questione di equilibrio. Si deve acquisire la capacità di scaricare tutta la potenza al suolo esattamente quando serve e poi di recuperare prima della prossima necessità. Queste tecniche saranno solo alcuni degli argomenti che tratteremo durante Soul Warriors, l’evento che terrò a Riccione il prossimo 1-3 dicembre interamente dedicato al miglioramento della prestazione. Puoi trovare tutte le informazioni qui.

Il tuo successo parte dalle tue aspettative

Ti sei mai fermato a riflettere su cosa voglia dire per te “avere successo”?

Magari pensi che una persona abbia successo quando arriva a possedere una bella macchina o tanti soldi in banca. Ma sei davvero sicuro che si tratti di successo?

Molti si credono “arrivati” quando rientrano in certi parametri di ricchezza o fama. Io invece penso che il successo non sia riducibile a una semplice scala di valori, ma ad un rapporto tra risultati e aspettative!

Affrontiamo proprio il tema del “successo” e di cosa serve realmente nella vita per essere felici.

Vuoi scoprire come riuscire ad accettare e superare gli ostacoli e i rallentamenti che ti si pongono davanti ogni giorno? Vuoi sapere come fare per massimizzare i tuoi risultati sul piano dell’appagamento emotivo?

Oggi voglio parlarti di un argomento che può sembrare un po’ strano e un po’ fuori dagli schemi di quello di cui mi occupo di solito, ma poi nemmeno così tanto: il successo.

Perché parlo di successo? Perché avendo da molto tempo promosso il concetto del vivere a pieno, credo di essermi in un certo senso avvicinato all’idea che le persone hanno del vivere a pieno e spesso questa idea coincide con un’idea di successo, cioè la vita a pieno è una vita di successo.

Allora ho iniziato ad occuparmi di questo concetto, anche parlando in maniera abbastanza approfondita con tante persone, con i pazienti, di che cosa per loro questo concetto significa, come si fa a definire questo parametro.

Viviamo in una società che non fa altro che imporci dei modelli di successo, che non è assolutamente detto che siano i nostri.

Il successo è avere 4 case, 50 macchine, 4 yacht, un elicottero.. forse per qualcuno sì. Per qualcun’altro no. Se uno entra in contatto con molte di quelle persone che vivono in quella realtà, e non sono poi così poche, devo dire che non sempre sembra una vita di successo sul piano interiore, sul piano emotivo. Anzi a volte si ha l’impressione che più le persone si riempiono di cose esterne, più si svuotano di cose interne. E, è un vecchio discorso non sto dicendo nulla di nuovo, molto spesso si incontrano invece altri soggetti che materialmente parlando possono essere definite persone che hanno poco, ma che hanno una ricchezza interiore, una sensazione di appagamento invece molto molto profonda.

Allora credo che sia importante per capire bene che cosa vuol dire vivere a pieno e che cosa si intende per “successo” mettersi in testa che il successo può essere definito soltanto come il rapporto tra i risultati che hai nella vita e le aspettative che hai, e questo è un concetto estremamente importante, quindi il successo non può essere misurato da un parametro, ma deve essere isolato da un rapporto. Dunque se tu hai delle aspettative enormi, beh i tuoi risultati ti sembreranno sempre insufficienti e dunque la percezione di successo di vita a pieno sarà sicuramente molto molto modesta, se non addirittura del tutto assente. Al contrario, se uno modera le sue aspettative, i risultati che ottiene lo appagheranno molto e la percezione di successo sarà molto alta.

Penso quindi che sia abbastanza chiaro che il lavoro che va fatto, è in particolare a livello delle proprie aspettative, non perché bisogna per forza ridurre al minimo le aspettative, ma perché bisogna imparare a governare quelle pulsioni fuori controllo che portano le aspettative a livelli tali che non siamo mai in grado di soddisfarle completamente. Questo è un concetto molto importante che in psicologia viene chiamato “adattamento edonistico”, di cui siamo un po’ tutti delle vittime oggi nella nostra società. Cosa vuol dire adattamento edonistico? Sogno per tantissimo tempo e con tantissima intensità di avere quell’ultimo modello della macchina che mi fa impazzire, compro quella macchina che mi fa impazzire perché ritengo che questo mi dia una soddisfazione incredibile e sia finalmente quell’ultimo tassello che mi manca per essere veramente felice e appena inizio a guidarla questa felicità comincia a sfumare e dopo un po’ che la sto guidando inizio a sognare qualcos’altro. Il processo si ripete all’infinito e porta appunto a quell’accumulo di beni materiali che non sarà mai in grado di dare una vera sensazione di vita a pieno e di successo.

Ora come si lavora sulla modulazione di queste aspettative? Ribadisco, non tanto sminuendole perché non è neanche pensabile che una vita a pieno sia la vita di uno che mette sempre il freno a mano e dice “no non posso fare nulla”. No, la chiave di lettura è un’altra: è lavorare sulle aspettative con l’inserimento di un allenamento alla gratitudine, perché se veramente sviluppi questa capacità di essere grato e non soltanto i 5 minuti in cui ti concentri, ma nel corso delle 24 ore della giornata, nelle piccole cose, nel modo in cui comunichi con gli altri, nel modo in cui comunichi con i tuoi familiari, nel modo in cui gestisci il tuo auto dialogo, anche di fronte alle cose che non vanno esattamente come volevi, nel momento in cui sei in grado di gestire le tue irritazioni senza sfogarti su tutti quelli che ti girano attorno. Ecco cosa vuol dire modulare le aspettative, comprendere che il mondo non è lì per te, ma forse sei tu lì per il mondo, che sono due chiavi di lettura molto differenti.

Il vero successo è questo; il vero successo è mettersi al servizio di una causa, accettare gli ostacoli, accettare i rallentamenti, lavorare sulle proprie irritazioni, gestire le proprie aspettative, massimizzare i propri risultati sul piano dell’appagamento emotivo come fanno i bambini che scoppiano di gioia davanti anche a cose semplicissime, fino a quando noi adulti non cominciamo ad diseducarli e non cominciamo a comprargli ogni volta una cosa in più invece di fargli capire quanto preziosa è quella singola cosa e quanto piacere quella piccola singola cosa può dare nel tempo.

Quindi ricordati che il successo non può essere misurato con un parametro, è un rapporto tra i risultati che ottieni e le aspettative che hai. Se non lavori su quelle aspettative tutto quello che otterrai come risultato non ti porterà a percepire successo e gradualmente sgretolerà la tua realtà interiore fino a trovarti circondato da tantissime belle cose, ma totalmente solo all’interno.

3 passi per rendere il 2018 l’anno più sano che hai mai vissuto

Come sempre dicembre e gennaio sono mesi in cui i bilanci sul passato si intrecciano con i progetti per il futuro. Le settimane tra la fine dell’anno vecchio e l’inizio del nuovo sono spesso ricche di obiettivi ambiziosi, buoni propositi e pentimenti per gli errori commessi.

Purtroppo molto spesso tutto ciò sfuma un po’ miseramente già alla fine di gennaio, quando torniamo ad essere vittime delle solite routine e abitudini.

Un esempio classico riguarda l’attività fisica. Attorno a Natale iniziano i pentimenti resi più che mai vivi dalle esagerazioni gastronomiche tipiche delle vacanze. A gennaio le persone si iscrivono in palestra convinte di farcela a rimettersi in forma. Le iscrizioni raggiungono un picco alla fine di gennaio, ma già a marzo le palestre iniziano a svuotarsi. Succede così anno dopo anno.

Ma cosa determina questo atteggiamento un po’ contraddittorio? Le risposte potrebbero essere molte, ma in estrema sintesi possiamo dire che i nostri sogni si infrangono contro la dura realtà. Manchiamo di una strategia che ci permetta di evitare false partenze e di raggiungere uno stato in cui le vecchie abitudini sono un lontano ricordo e le nuove non costano particolare fatica.

Da dove iniziare allora? Ecco qui 3 punti che ti possono essere utili:

  1. Avere aspettative realistiche:

Il successo in qualsiasi azione dipende da un rapporto tra i risultati ottenuti e le aspettative con cui partiamo. Nel cambiare abitudini di vita molto spesso le persone hanno aspettative eccessive e irreali. Rimettersi in forma in due mesi dopo trent’anni di sedentarietà è un esempio tipico. Così come voler smettere di fumare, cambiare dieta, iniziare ad allenarsi tutto nello stesso momento. Le nostre abitudini possono cambiare, ma la prima regola è di fare un passo alla volta e di aver chiaro il lavoro che dobbiamo affrontare.

  1. Puntare a sostituire vecchie abitudini con nuove:

Il primo obiettivo a cui dovremmo puntare non è un risultato in sé, ma un fondamentale prerequisito Facciamo un esempio. Supponiamo che una persona si metta in testa di rimettersi in forma e scelga di andare a correre ogni mattina, prima del lavoro. Se nel fare questo la persona pensa immediatamente ai benefici che otterrà, a quanto bravo sarà nel correre, agli incredibili risultati fisici che arriveranno poco dopo, rischia di rimanere profondamente deluso e di mollare sotto il peso della frustrazione. Se la stessa persona si concentra semplicemente nel trasformare la sua scelta in una vera abitudine, alla lunga, passo dopo passo arriveranno anche i risultati. Concentrarsi sul creare un’abitudine vuol dire dimenticarsi di tutto tranne che del gesto in sé. Vuol dire iniziare piano e con poco, ma non cedere nemmeno se fa caldo, se nevica o se soffia un vento terribile. Così, nel giro di qualche mese quel gesto diventa automatico e a quel punto possiamo alzare il tiro e  pensare ai risultati.

  1. Scoprire la virtù del riposo

Siamo tutti troppo stanchi. Oggi la stanchezza è un male così diffuso da venire completamente trascurato. Eppure un numero eccessivo di ore di lavoro, continue interruzioni e distrazioni date da telefoni e internet, esposizione costante al rumore della città e perfino stress da vacanze, fanno sì che la maggior parte di noi abbia risorse molto limitate con cui affrontare il cambiamento. Ma non possiamo dimenticarci che cambiare costa fatica e che tutto diventa difficile, anche le cose a cui siamo abituati, quando le risorse sono troppo scarse. Un buon modo per affrontare l’introduzione di nuove abitudini è di farlo da una condizione di completo recupero. Per esempio se dobbiamo prendere l’abitudine di fare attività fisica ogni giorno conviene provare la mattina presto. Alla sera saremo stanchi e certamente troveremo mille scuse per rimandare.

Prendersi cura di sé non è così complesso come sembra. Non lo facciamo abbastanza, anche se sappiamo quanto importante sia, perché siamo distratti, oberati da mille impegni e troppo stanchi per aggiungere un compito in più.

Partiamo da piccoli passi e ripetiamoli nel tempo, così il nostro cambiamento acquisirà forza fino a diventare una valanga inarrestabile.

Rimani forte, vivi a pieno! 

Ti stai allenando troppo? Ecco 3 modi per capirlo.

Hai mai sentito parlare di sovrallenamento?

Il problema più diffuso oggi è certamente la sedentarietà, ma anche chi si allena con costanza e disciplina va incontro a rischi, come quello di fare troppi sforzi e di compromettere sia i risultati, che la propria salute.

Per comprendere a fondo il concetto di sovrallenamento dobbiamo partire da una regola fondamentale della biologia: il miglioramento di un organismo avviene attraverso un delicato rapporto tra stress e recupero.

E come facciamo a mantenere inalterato questo rapporto?

Ma come si riconosce questo sovrallenamento?

Attraverso 3 punti principali: 

  • scarsità di risultati
  • stanchezza (abbinata ad una maggiore suscettibilità alle patologie infettive) 
  • calo della motivazione

Oltre a questi “sintomi” è anche bene distinguere i due stadi del sovrallenamento, uno collegato al sistema nervoso simpatico e l’altro collegato al sistema nervoso parasimpatico.

Il problema più diffuso oggi è certamente la sedentarietà, ma in chi invece l’attività fisica la fa seriamente, in chi si allena con costanza e disciplina c’è un altro rischio che forse è più importante di quello che si può pensare, ed è il rischio di sovra-allenamento, cioè il rischio di fare troppo e di compromettere così a lungo termine sia i risultati che si ottengono, che la propria salute.

Per capire il concetto di sovrallenamento dobbiamo partire da una regola fondamentale della biologia e la regola è che la crescita, il miglioramento di un organismo, avviene grazie ad un rapporto delicato e assolutamente fondamentale tra stress e recupero, tra carico e scarico, cioè l’organismo risponde a un meccanismo che prevede la spinta da una parte (e in questo caso se stiamo parlando di allenamento sarà la spinta data dal carico di lavoro in allenamento), ma anche dal recupero che è il vero momento chiave in cui l’organismo utilizza le risorse energetiche per creare nuovo tessuto, per riparare il danno e in parole molto semplici per diventare più forte. Il recupero è il momento in cui l’organismo diventa più forte. L’allenamento è il momento in cui sono in grado di dare quella spinta all’organismo che lo destabilizza, gli fa perdere per un momento l’equilibrio, ed è proprio quella spinta che durante il recupero permette appunto la crescita e il miglioramento.

Il sovrallenamento è un problema discusso nella comunità scientifica da tantissimo tempo perché è un problema serio per gli atleti agonisti, per i professionisti, ma è anche abbastanza difficile da quantificare e diagnosticare perché ovviamente la crescita e il miglioramento avvengono ad un passo dal sovrallenamento. È chiaro che se uno ci sta troppo lontano e sta molto di più nella fase di recupero, o non di carico, l’organismo non sarà abbastanza stimolato a migliorare. Dunque è un confine molto molto sottile, ma c’è un problema però che spesso viene trascurato, cioè lo stress inteso come allenamento va a sommarsi allo stress della vita di una persona e questo è particolarmente vero per l’atleta che non è un professionista.

Il professionista ovviamente fa fondamentalmente solo quello, anche se non è proprio vero questo perché il professionista poi è sollecitato da tanti altri stimoli come i media, i giornali, quello che si dice di lui, cioè non è così semplice come uno può immaginarselo, ma comunque sia il professionista ha l’attività fisica al centro della sua vita.

L’agonista o l’atleta serio, ma non professionista, ha ovviamente tante altre cose a cui badare, per esempio un lavoro, e quindi lo stress accumulato nell’allenamento va a sommarsi allo stress della vita e questo incide in maniera molto profonda sulla capacità di recupero. A lungo andare questa situazione si traduce in un vero e proprio sovrallenamento, cioè in una condizione che porta l’atleta completamente fuori strada.

Come si riconosce questo sovrallenamento?

  1. Il punto numero 1 è ovviamente una scarsità di risultati. Quando si entra in stallo, quando pur allenandosi bene si vede che i risultati non vengono, o addirittura si ha un peggioramento, non è sempre così, ma in una stragrande maggioranza dei casi è bene interrogarsi sul fatto che magari si sta facendo troppo. Potrebbe essere che si sta facendo troppo poco, ma se si è degli atleti seri è poco probabile, è più probabile che l’esagerazione avvenga in senso di eccesso di allenamento.Allora se mi sto allenando veramente bene, veramente tanto e vedo che risultati non vengono, la domanda da farsi è “non è il caso forse di fare un pochino meno?”. Ecco questo è il primo punto.
  2. Il secondo punto è una generica stanchezza associata molto spesso ad una aumentata suscettibilità alle patologie infettive anche banali come l’influenza, il raffreddore… Quando per tanto tempo ci si sente stanchi e si vede che il sistema immunitario non risponde in maniera corretta, anche lì devo sospettare che forse il corpo mi sta chiedendo riposo.
  3. Il terzo punto molto importante è il calo della motivazione. Questo è un punto più emotivo che fisico se vogliamo, ma anche qua è il nostro organismo che dice “Rallenta”. Se non hai voglia ci deve essere un motivo, soprattutto se sei un atleta serio, perché l’atleta serio non casca mai in quella trappola della mancanza di voglia legata alla pigrizia. Quindi anche questo è un segnale.

Oltre a tutto questo è importante anche distinguere due stadi del sovrallenamento: uno stadio che riguarda più il sistema nervoso simpatico, che non è simpatico come uno può pensare, ma è la parte del sistema nervoso autonomo deputata alla risposta da stress, alla risposta da fuga e combattimento quindi è quella componente del sistema nervoso che ci attiva. Quando questo è sovrastimolato, il sovrallenamento dà delle sintomatologie da sovrastimolazione, quindi per esempio l’agitazione, l’irritabilità, l’insonnia, la tachicardia, la perdita di peso.. Queste sono spesso indicazioni di un sovrallenamento indotto da una iperattivazione del sistema nervoso simpatico.

A volte questo è il primo stadio del sovrallenamento e poi si passa al secondo, a volte rimane questo, a volte c’è una distinzione tra le tipologie di sovrallenamento in funzione dell’attività fisica fatta. Per esempio il sovrallenamento di tipo simpatico è più probabile negli sport di potenza e di velocità, l’altra tipologia di sovrallenamento è quella invece indotta più dal sistema nervoso parasimpatico che è il sistema generalmente legato al recupero e alla calma, ma che ha anche un connotato però, invece di bloccare la risposta dell’organismo allo stimolo esterno, in questo caso i sintomi che la persona avrà saranno invece un po’ al contrario, la bradicardia, l’aumento di peso, la sonnolenza, la mancanza di voglia, la spossatezza… questi sono sintomi appunto più legati al parasimpatico.

Come ti dicevo possono essere due stadi, cioè inizia il sovrallenamento con una versione più legata al sistema nervoso simpatico e poi diventa, se continuo a sovrallenarmi, sistema nervoso parasimpatico, oppure può essere una distinzione legata alla tipologia di sport che faccio. Sport di forza e di potenza hanno più la tendenza ad un sovrallenamento di tipo simpatico, sport invece di lunga durata e resistenza più un sovrallenamento di tipo parasimpatico.

In conclusione cosa è importante capire? È importante capire che se sei un atleta serio è difficile che tu faccia troppo poco, perché sennò non saresti un atleta serio. Quindi quando vedi che ci sono delle cose che non funzionano nella tua risposta fisiologica ai carichi di lavoro, prova a ipotizzare che la soluzione sia fare meno. Fare meno significa perlomeno due cose: 1) organizzare il proprio allenamento o meglio la periodizzazione dell’allenamento con dei criteri scientifici; se non li hai tu, ti devi fare aiutare da un trainer capace, perché l’allenamento non è soltanto carico carico carico, ma è diciamo un armonico bilanciamento tra tipologie di allenamento e tipologie di recuperi nel corso del tempo 2) più semplice, ma altrettanto importante, ogni tre mesi una settimana di interruzione completa nella maggior parte dei casi è un fenomenale metodo per evitare il sovrallenamento e per garantirsi che lo sforzo che fai si traduca sempre in risultati concreti.

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