Autismo. Trovati biomarcatori che possono portare a diagnosi più precoci. La ricerca dell’Università di Bologna
Un team di ricerca italo-britannico ha messo a punto un nuovo test – il primo di questo tipo – basato sull’individuazione di specifici danni alle proteine plasmatiche. Uno strumento che può rivelarsi utile per arrivare a identificare i disturbi dello spettro autistico anche in età molto precoce e aprire la strada a nuovi trattamenti.
19 FEB – Un team di ricercatori di Università di Bologna, Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna (Irccs), Università di Warwick e Università di Birmingham ha messo a punto un nuovo test – il primo di questo tipo – che potrebbe portare a diagnosi più precoci nei bambini affetti da disturbi dello spettro autistico, favorendo così trattamenti più tempestivi.
Il test – pubblicato sulla rivista Molecular Autism – si basa sull’individuazione, attraverso biomarcatori nel sangue e nelle urine, di specifici danni alle proteine plasmatiche. Un risultato che potrebbe portare in futuro a fare luce su cause non ancora identificate alla base dei disturbi dello spettro autistico, contribuendo così a mettere a punto nuove terapie, che saranno tanto più efficaci quanto più precocemente applicate.
Cosa sono i disturbi dello spettro autistico
I disturbi dello spettro autistico (ASD) sono disturbi del Neurosviluppo che impattano principalmente sulle interazioni sociali e che possono comprendere un’ampia gamma di problemi comportamentali, tra cui anomalie nella comunicazione, comportamenti ripetitivi o compulsivi, iperattività, ansietà, difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti, disturbi sensoriali e, in molti casi, disabilità intellettiva. I sintomi possono essere molto eterogenei e, soprattutto in età precoce, molto sfumati. Per questo motivo è spesso difficile ottenere una diagnosi certa prima di 24-36 mesi di età.
Le cause di questo tipo di disturbi sono ancora poco chiare. Mentre in circa un terzo dei casi (30–35%) possono essere riconosciute motivazioni genetiche, per il restante 65–70% dei soggetti colpiti si ritiene che l’autismo sia causato da una combinazione di fattori ambientali, mutazioni multiple e varianti genetiche rare.
Nuovi indizi e utili conferme
Nuovi indizi per fare luce sulle cause di questi disturbi possono arrivare ora grazie al nuovo test messo a punto dal team di ricerca italo-britannico. Gli studiosi hanno infatti individuato un legame tra ASD e un particolare danno alle proteine plasmatiche dovuto a fenomeni di ossidazione e di glicazione.
“Questa ricerca – spiega Marina Marini, docente al Dipartimento di Medicina Specialistica Diagnostica e Sperimentale dell’Alma Mater, che ha coordinato il gruppo bolognese – mette in luce il ruolo dello stress ossidativo in una patologia del Neurosviluppo e identifica alterazioni biochimiche comuni in bambini che hanno sicuramente background genetici diversi. Ipotizziamo che sia l’instaurarsi di queste disfunzioni durante il periodo prenatale o nei primi mesi di vita che, alterando l’epigenetica delle cellule nervose, provoca alterazioni simili a quelle dovute a mutazioni genetiche”. In particolare, nei bambini affetti da disturbi dello spettro autistico sono stati riscontrati livelli più elevati di uno specifico marcatore di ossidazione, la di-tirosina (DT), e di composti denominati “Advanced Glycation Endproducts” (AGEs).
Dai risultati della ricerca, inoltre, è arrivata anche la conferma che nei disturbi dello spettro autistico è coinvolta un’alterazione dei trasportatori di aminoacidi, già identificata in una rara mutazione genetica che determina autismo. Nei bambini studiati, però, le cause dell’alterazione potrebbero essere di tipo epigenetico e non genetico, quindi potenzialmente modificabili.
“La nostra scoperta – spiega Naila Rabbani, Reader di Experimental Systems Biology all’Università di Warwick, che ha guidato la ricerca biochimica – potrebbe portare a una diagnosi e a interventi terapeutici più precoci. Speriamo, inoltre, che questo tipo di studi possa mettere in luce nuovi fattori causativi: nuove ricerche potrebbero infatti rivelare specifici profili plasmatici e urinari di composti che portano traccia di modificazioni dannose. Non solo, quindi, si potrà migliorare la diagnosi, ma anche individuare nuove cause dell’ASD”.
I protagonisti dello studio e i prossimi passi
Per realizzare lo studio, il Centro Disturbi dello Spettro Autistico dell’Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna ha realizzato una valutazione clinica su 38 bambini affetti da disturbi dello spettro autistico (29 maschi e 9 femmine) e un gruppo di controllo composto da 31 bambini a sviluppo normotipico (23 maschi e 8 femmine), tutti di età compresa tra 5 e 12 anni. Il team dell’Università di Warwick, guidato da Naila Rabbani, ha poi studiato campioni di sangue e di urina, evidenziando le differenze chimiche tra i due gruppi. Un ricercatore dell’Università di Birmingham ha invece combinato i dati relativi ai cambiamenti dei diversi composti, elaborando un algoritmo di machine learning: un’intelligenza artificiale che consente di distinguere tra i soggetti affetti e quelli non affetti. Il risultato è stato un test diagnostico con ottima capacità di distinguere tra veri e falsi positivi e veri e falsi negativi.
Sarà necessario ora ampliare lo studio a nuovi gruppi di bambini con l’obiettivo di confermarne l’efficacia e valutare se i biomarcatori individuati siano in grado di discriminare non solo tra bambini affetti e sani, ma anche tra diverse patologie del Neurosviluppo o che comportano stress ossidativo, e per valutare, inoltre, la sua capacità di identificare l’ASD anche in età molto precoce.
19 febbraio 2018
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