Sonno e Alzheimer: c’è una relazione tra scarsa qualità del riposo e malattia

Sonno e Alzheimer: c’è una relazione tra scarsa qualità del riposo e malattia

I ricercatori dell’Università e Centro di medicina del sonno delle Molinette di Torino: “Prendersi cura del sonno profondo potrebbe prevenire o rallentare l’insorgenza della patologia”

 09/03/2023

Mariavittoria Savini

 

C’è un legame diretto tra Alzheimer e una scarsa qualità del sonno: a dimostrarlo e a spiegare per la prima volta il meccanismo è uno studio di Università e Centro di Medicina del sonno delle Molinette di Torino. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Acta Neuropathologica Communications.

I ricercatori hanno esaminato l’effetto di un sonno disturbato in topi geneticamente predisposti al deposito di beta-amiloide, una proteina, che compromette irreversibilmente le funzioni cognitive dell’animale anche se giovane.

Tutto ruota attorno al sonno frammentato, quelle interruzioni dovute a apnee, russamento, sindrome delle gambe senza risposo che disturbano la fase del sonno profondo.

“Durante il sonno c’è un sistema di pulizia, che si chiama sistema glinfatico che elimina le sostanze di scarto che noi accumuliamo durante la veglia. Purtroppo, queste svolgono una funzione di danneggiamento dei neuroni, delle cellule nervose e di conseguenza noi nella notte, nelle fasi di sonno profondo le dobbiamo eliminare obbligatoriamente se vogliamo avere un cervello sano” afferma Il professor Alessandro Cicolin del Centro di medicina del sonno dell’ospedale Molinette Torino. Insomma, un sonno troppo frammentato manda in tilt il sistema glinfatico, che non riesce più a smaltire neurotossine, come la proteina beta amiloide che compromette le funzioni cognitive.

È noto che il riposo notturno nei pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer sia spesso disturbato fino ad arrivare a una vera e propria inversione del ritmo sonno-veglia. In chi è predisposto all’Alzheimer il sonno frammentato favorisce l’insorgere della demenza senile, in pazienti già malati accelera e aggrava la malattia. Curare un sonno disturbato potrebbe invece rallentarne la progressione.

Un’altra considerazione: si parla spesso di sonno in termini di quantità di ore impiegate nel riposo. Oggi dalla ricerca arriva l’invito a porre una maggiore attenzione alla “qualità del sonno”: è solo nel sonno profondo che il sistema glinfatico può svolgere efficientemente il compito di “pulizia” ed eliminazione delle sostanze neurotossiche che si accumulano in veglia; anche in assenza di altri fattori (riduzione del tempo di sonno o condizioni ipossiche), la sola frammentazione del sonno a livello cerebrale, ostacolando il mantenimento del sonno profondo, è in grado di innescare e mantenere il processo. Si comprende sempre più come il sonno sia un fenomeno attivo, regola il nostro metabolismo, il sistema immunitario e circolatorio.

“Dobbiamo quindi iniziare a considerare il sonno un nostro amico, non una cessazione della vita o una pausa passiva, ma dobbiamo rispettarlo, perché se non lo rispettiamo- avverte Cicolin, andiamo incontro ad una compromissione non solo cerebrale ma anche sul piano sistemico”. E’ comprensibile infatti come i disturbi del sonno, come insonnie, apnee e sindrome delle gambe senza riposo, costituiscano un significativo fattore di rischio per obesità, ipertensione, diabete, infarto, ictus, cancro e demenze ed in tal senso da includere nelle politiche di prevenzione sanitaria.